Cos'è per te la felicità?

“Felicità” se ne parla tanto. Studiosi e filosofi meditano  da sempre sull’ essenza ed il raggiungimento della tanto bramata felicità.

Ma che cos’è la felicità? Siamo davvero consapevoli del significato che diamo alla felicità?

La mia riflessione mi porta a pensare a quando eravamo bambini; i momenti di vera felicità erano quelli in cui si stava tutti insieme, quando bastava davvero poco per essere felici…questa gioia la ritrovo oggi nei miei figli. I bambini hanno la fortuna, il piacere ed il diritto di essere se stessi, forse più degli adulti. Durante la crescita perdiamo un po’ di quella limpida naturalezza ed immagazziniamo informazioni, credenze e stereotipi,  perdendo così il focus su noi stessi.Come si dice spesso per trovare nuove risposte è necessario fare spazio.

Pertanto, il concetto di felicità diventa per ognuno di noi  puramente personale, frutto del nostro vissuto, della nostra percezione degli eventi e del valore che la cultura e la famiglia hanno attribuito al termine felicità.

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Il filosofo e psicoterapeuta contemporaneo Umberto Galimberti, nel suo Dizionario di Psicologia, descrive così la felicità: “condizione di benessere di rilevante intensità caratterizzata dall’assenza di insoddisfazione e dal piacere connesso alla realizzazione di un desiderio. Nel suo nesso con il desiderio la felicità rivela il suo carattere circostanziale, cioè il suo legame a condizioni di fatto complessive e transitorie, da cui dipende anche la sua caducità”

La definizione di Galimberti da alla felicità un significato di emozione passeggera dipendente da una causa esterna.

Martin Seligman, psicologo statunitense considerato il fondatore della psicologia positiva, nel libro “La costruzione della felicità”, fa un’ulteriore distinzione: : “il piacere segnala il raggiungimento dell’appagamento biologico, mentre la gratificazione segnala il raggiungimento di una crescita psicologica”. Egli distingue l’inseguimento del piacere da quello della gratificazione: mentre il piacere è momentaneo e va incontro ai fenomeni di assuefazione e dipendenza che contrastano con lo stato di ben-essere , la gratificazione, pur richiedendo sforzi e costanza nel perseguirla, riempie la vita di significato contribuendo così allo stato di felicità dell’individuo.

Per i greci il concetto di felicità era espresso dal termine eudaimonìa, da cui è derivata la dottrina dell’eudemonismo, cioè la dottrina che ripone nella felicità il bene e quindi la insegue come scopo della vita umana.

Scrive il filosofo Salvatore Natoli : “I greci chiamavano la felicità eudaimonía, il ‘buon demone’, e –meglio ancora- eutychía, ‘la buona sorte’. E la lingua tedesca intende la felicità allo stesso modo: la parola Glück significa insieme ‘felicità’ e ‘fortuna’, che è come dire ‘felici per caso’. Anche la parola inglese happiness, ‘felicità’, deriva dal verbo to happen, che vuol dire appunto ‘accadere’ e allude perciò all’occasionalità e all’aleatorietà dell’essere felici.”

Possiamo notare come l’ attribuire lo stato di felicità   a  fattori esterni e alla sorte  sia arrivata fino ai nostri giorni e sia ancora una credenza presente in molte culture e convinzione di molte persone.

Alcuni filosofi dell’antica Grecia  elaborarono tale credenza in qualcosa di diverso:

Secondo Aristotele, infatti , la ricerca della felicità è una esigenza universale dell’essere umano. Tutti gli esseri umani ricercano il bene ed esiste un bene ultimo oltre il quale non ne esiste nessun altro. Il bene ultimo è proprio la felicità.

“Poiché i fini appaiono essere molti e di essi alcuni li vogliamo a cagione di altri (come la ricchezza, i flauti e in genere gli strumenti), è chiaro che non tutti sono perfetti; ma il sommo bene sembra essere perfetto. (…) Dico più perfetto quello perseguito per sé in confronto di quello perseguito per altro; e quello che non è mai voluto per cagion di un altro, in confronto di quelli che possono essere voluti sia per sé e per cagion di altro. E, insomma, perfetto senz’altro è quel fine che viene sempre voluto per sé e non mai come mezzo per un altro. E tale sembra essere soprattutto la felicità: la vogliamo infatti sempre per se stessa e mai per altro.( Aristotele, Etica Nicomachea, Cap. VII)

Il filosofo parte da una tesi molto semplice: esiste un bene oltre il quale non ne esiste nessun altro. Aristotele sostiene che esistano  solo due possibilità: o questo bene esiste oppure non esiste nessun bene. Infatti, se un bene fosse ricercato sempre per un altro, non si darebbe alcun limite nella ricerca del bene: non ci sarebbe mai fine nella ricerca del bene e, di fatto, esso sarebbe irraggiungibile. Per esempio, il denaro ha un valore solo perché tramite esso si può avere qualcosa in cambio, un oggetto, un servizio etc.. Anche un oggetto potrebbe avere un suo valore perché si traduce in qualche altro vantaggio, ad esempio, ci serve per chiedere un favore in cambio. Ora, dice Aristotele, se tutto fosse così, cioè se ogni genere di bene fosse solamente un mezzo per giungere a qualcos’altro, allora non ci sarebbe mai fine e non ci sarebbe un bene fine a se stesso.

Ritroviamo in questo tema come i beni materiali siano riconducibili al puro appagamento dell’Ego: non esiste fine all’insoddisfazione, ci sarà sempre qualcosa di più grande o di migliore da conquistare per dover essere “felici”…si, anche se...solo per un effimero attimo.

Aristotele, dunque, ritiene che la felicità sia possibile, soprattutto è possibile la felicità umana. Ma essa è rara perché dipende dall’eccellenza delle nostre virtù.

Secondo Epicuro, l'uomo dovrebbe concentrarsi sul vivere quegli aspetti della vita connessi alla sua natura e coltivare con impegno l'amicizia, elemento assolutamente positivo della nostra esistenza.  L’appagamento dei  piaceri naturali e necessari (libertà ,amore, cibo,..) è molto importante per la felicità, avere accesso a piaceri naturali ma non necessari ( abbondanza, lusso,...) può essere positivo se per procurarceli non ci votiamo ad un sacrificio eccessivo, mentre i piaceri non naturali e non necessari ( potere, gloria,…) sono nella stragrande maggioranza dei casi fonte più di infelicità che di felicità.

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Infine...la felicità non è un'emozione oggettiva, né è casuale come un evento del destino, ma è una capacità individuale da scoprire. Essa arriva quando hai raggiunto te stesso, quando sei capace di apprezzarti per quello che sei con i tuoi difetti ed i tuoi pregi, quando non hai più paura dei se e dei ma... quando il giudizio degli altri non è più così importante, sicuro dei valori che ti rappresentano. La felicità... la puoi sentire quando vibri sull’onda energetica giusta e questa invisibile energia ti porta a conoscere persone nuove, allineate con il tuo modo di essere, di vivere e di condividere la bellezza della vita.

Micaela Iaia

Personal & Corporate coach

founder di Sanitariamente Coaching Sanitario e Le Ali Mentali



Riferimenti : sito scuola filosofica, articolo “Aristotele ovvero la felicità come il massimo conseguimento della propria Natura" di Giangiuseppe Pili

Curiosità & Resilienza : Umberto Galimberti nasce a Monza nel 1942, da una famiglia di 10 fratelli, la mamma maestra di elementari e il padre che ha svolto vari lavori. Le necessità della famiglia obbligano Umberto, così come gli altri fratelli, a lavorare sin dalla tenera età. Fu grazie alla magnanimità di un sacerdote che Umberto poté frequentare le scuole superiori in seminario.Terminati gli studi liceali classici nel 1960, si iscrive, grazie a una borsa di studio di 800.000 lire, al corso di laurea in Filosofia dell' Università Cattolica di Milano ma è costretto, dopo solo due anni, ad interrompere gli studi per mancanza di soldi. Trascorre dunque un periodo di tempo in Germania dove svolge la mansione di operaio in una grande fabbrica, per mettere da parte abbastanza soldi per le rette e le spese universitarie, riuscendo infine a riprendere gli studi. Si laurea quindi con Emanuele Severino nel 1965 con lode.

 

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