Il miracolo di Lara

Sanitariamente Coaching Sanitario® ha tra i suoi obiettivi quello di condividere con i professionisti sanitari,  ma anche con le persone al di fuori del contesto sanitario, ciò che accade di bello dietro le quinte, dietro il sipario Sanità.

Sanitariamente si occupa anche  di Emozioni, questa lettura ve ne donerà molte e diverse, ed è con l’emozione della gioia , con empatia e gratitudine  che vi propongo questo splendido racconto di Giuliana Balzano, infermiera e scrittrice.

Giuliana Balzano - riferimenti/contatti :

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Micaela Iaia fouder
Sanitariamente Coaching Sanitario®

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Il miracolo di Lara

Come ogni mattina entravo nella sua stanza. Come sempre stava ancora dormendo.
Stavo immobile a guardarla. Stringeva a se Silvì, la sua pecorella di peluche.

La luce che la tapparella lasciava passare le accarezzava il viso risaltando la sua dolcezza.

Che carina che era, con quei buffi ciuffetti castani sparsi qua e là sulla sua testolina. Sembrava quasi che avvertisse la mia presenza perché, come consuetudine, dopo qualche minuto apriva gli occhi urlandomi che aveva fame. Così io mi affrettavo a preparare quella zuppa di latte e biscotti che lei velocissimamente ingurgitava senza neanche scendere dal letto, ancor prima che le lavassi quel bel musetto e le cambiassi il pannolino che al mattino era così zuppo di pipì da far paura. Sapevo benissimo che non era giusto assecondarla con tutti quei vizi, ma era più forte di me: non riuscivo a dirle no.

Lara rallegrava le mie giornate pennellandole di mille colori e arricchendole con il suono della sua voce così intonato e potente. Mi faceva sentire importante quando, con quel sorrisetto furbo sdentato, si tendeva verso di me per essere presa in braccio.

Le piaceva rotolarsi nel letto, urlando: “Che bello, che bello!”. Adorava sentirsi spalmare la crema idratante sulla schiena, sui glutei e sui piedi, pregandomi di non smettere. “Lara, Non posso stare tutto il tempo con te. Ho altre cose da fare. Forza, ora scendiamo dal letto, ci laviamo e poi ci mettiamo sedute. Gioca un po' con Silvì. Uh, guarda che bei giornalini ti ho comprato, “Forza, sfogliali! Vedrai che bei disegni” le dicevo. Mi rispondeva di sì. Non ho mai capito se lo facesse perché le piaceva davvero sfogliare quei giornalini insieme alla sua Silvì, o per farmi solo un favore. Mi voleva tanto bene quanto io ne volevo a lei. Se lei era il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi, io per lei ero il primo pensiero dopo il risveglio. Mi chiedevo chi tra le due avesse più bisogno dell'altra. Conoscevo perfettamente la risposta ma ingannandomi mi rispondevo con quella sbagliata. Mi chiamava in continuazione e io, per quanto mi imponessi di essere determinata a dirle no, alla fine lasciavo indietro quello che avevo da fare e tornavo da lei.
Ci mettevamo a cantare e lei, tra un canto e l'altro, se la faceva addosso. Così, dopo averla lavata e messa nell'asciutto, arrivava l'ora di pranzo. Sapeva benissimo usare il cucchiaino e anche la forchetta ma era pigra e io, piuttosto di vederle saltare il pranzo, la imboccavo. Lei sapeva come ripagarmi: con quel suo sorrisetto furbo sdentato. Dopo pranzo aspettavo che digerisse e poi la rimettevo a letto. Che tenerezza vederla combattere contro il sonno al quale, essendo più forte di lei, si concedeva. Mettevo a letto anche Silvì che trovava riposo sulla sua spalla. Silvì e Lara avevano qualcosa in comune: la morbidezza. Mentre lei dormiva mi mettevo sempre alla finestra osservando un mondo di gente, macchine, camion, corriere che si muovevano come se fossero telecomandati. Chi andava a destra e chi a sinistra, chi andava indietro e chi avanti.

Mille voci che si accavallavano l'une alle altre dando vita ad un coro stonato. Mille passi che, intrecciati gli uni agli altri, cadenzavano una marcia irregolare. Le persone mi sembravano schegge impazzite. Tutte indaffarate a rincorrere il tempo, convinte di poterlo afferrare e poi fermare, noncuranti del fatto che il tempo invece va lasciato libero di agire. Il suo incedere è la nostra salvezza. Il mondo intero mi appariva come una grande palla capace solo di rotolare su se stessa non arrivando mai a nessun traguardo, non avendo del resto nemmeno un punto di partenza. Tutto mi sembrava ridicolo. Cercavo di trovare un senso a quel caos che mi scorreva davanti ma inutilmente. Ancora non sapevo che il senso della vita era dietro alle mie spalle, si trovava nella stanza di Lara. Avrei voluto aprire la finestra e urlare al mondo intero che la vita non è un'assurda frenesia, non è una preghiera imparata a memoria per far contento Dio, non è accoppiarsi e ubriacarsi per mostrare agli altri e a noi stessi di essere felici. La vita è molto di più. Cosa fosse quel di più non lo avevo ancora capito ma aspettavo fiduciosa di comprenderlo a breve. Ci sono vite che insegnano più di mille maestri. Da quando Lara era entrata a far parte della mia esistenza le mie giornate erano cambiate, non tanto per il tempo che lei mi richiedeva, ma per il modo con il quale le affrontavo. Avevo imparato a stare calma e a guardare la vita con gli stessi occhi di Lara: con gli occhi dell'entusiasmo. Dicono che sia una prerogativa dei bambini guardare il mondo con entusiasmo. Su questo punto non saprei esprimere un'opinione.

Non m'intendo molto di bambini. Sono arrivata a cinquant'anni con poca esperienza al riguardo, ma so che il mondo dei bambini è una dimensione a parte.

A volte ci dimentichiamo che bambini lo siamo stati anche noi e che allo stesso modo eravamo entusiasti della vita. Abbiamo indossato l'entusiasmo come un vestito che poi, crescendo, ci è venuto stretto. Stupidamente, invece di indossarne uno uguale ma adatto alla nostra taglia, abbiamo cambiato il nostro tipo di abbigliamento e l'intero nostro guardaroba. Noi umani siamo stati programmati e costruiti con un difetto di fabbrica: dimentichiamo. Quel che è peggio è che tendiamo a ricordare solo le brutte cose, come le offese subite, i torti ricevuti, mettendo in una scatola tutte le gioie che abbiamo provato, come gli abbracci e i baci presi, le mani dei nostri amici tese verso di noi e i sorrisi che ci hanno asciugato le lacrime. Chiudiamo tutto dentro quella scatola, riponendola sullo scaffale più scomodo da raggiungere, come se temessimo più il bene che il male.

“Mamma, mamma!” Si svegliava più o meno dopo un'ora e mezza con la sua Silvì in mano. Con l'altra mano mi faceva ciao. L'alzavo dal letto, le controllavo il pannolino e spesso la sorpresa che trovavo al suo interno era tutto meno che profumata. Dopo averle fatto nuovamente un bidet, la mettevo seduta: era il momento della favola. “Ancora, non smettere”. Mi diceva. E io di nuovo pronta ad accontentarla. Passavo tanto tempo con lei e per questo venivo rimproverata. Mi dicevano che non era giusto, soprattutto per me. Mi ripetevano che stavo perdendo di vista me stessa. Si può rimproverare ad una madre di passare troppo tempo con la propria figlia? Era vero, lo ammetto, dedicavo meno tempo a me e agli altri e parlavo spesso di Lara. Sembrava che non avessi altri argomenti. Ma di cosa avrei dovuto parlare? Dei soliti e irrisolvibili problemi che quotidianamente si presentavano sul lavoro? Dell'amante del capo? Delle discussioni che Maria aveva tutti i giorni con i suoi figli rendendola isterica e pericolosa? Dei probabili spostamenti dei colleghi? Dei tagli che l'azienda in cui lavoravo voleva fare? Della separazione di Giulio? Delle solite... le solite cazzate? Era molto meglio parlare di Lara, la mia bambina, che aveva preso in mano la mia vita scomponendola in tanti pezzi. Quella fu la mia fortuna. Subito rimasi sorpresa e, confesso, anche spaventata quando vidi la mia vita sparsa come fogli di carta caduti a terra a causa di una folata di vento. Ero lì davanti alla mia vita, che Lara era riuscita a sparpagliare qua e là per la sua stanza. Lei era riuscita a fare una grandissima cosa: scomponendo la mia esistenza in tanti pezzi mi dimostrò chela vita non è così pesante come tutti crediamo che sia. La vita è leggera, siamo noi che, riempendola di pesi inutili, la trasformiamo in una zavorra che ci trasciniamo appresso dimenticando così di viverla. Poi, quando accade l'imprevisto, siamo così falsi e ingrati da dire che la vita fa solo schifo e che è solo sofferenza.

Ci siamo mai chiesti dove eravamo quando la vita ci offriva tutto il bene possibile? Quando era un cielo sereno di giorno e un cielo stellato di notte?

Questo era riuscita a farmi capire Lara, insegnandomi a cogliere la gioia nel dolore e il lato positivo nella giornata più negativa. Lei viveva a prescindere. “Mamma, ho di nuovo fame!” Urlava. “Ma sei un pozzo senza fondo!” Le rispondevo divertita. “Ho fame, ho detto.” Ribadiva lei. “E io non ho voglia di prepararti la merenda.” “E invece lo farai.” “E invece no!.” Le dicevo per farla arrabbiare. “E invece sì!” Gridava forte lei. E io per farla smettere le facevo il solletico. Come le piaceva quando glielo facevo... Gridava dalla gioia. E io con lei. “Mamma, ora basta dai. Ho tanta fame!”. Mi urlava di nuovo. Dovevo prepararle qualcosa da mangiare. Un omogenizzato alla frutta con dei biscotti sbriciolati era la merenda che preferiva. Piaceva anche a me e confesso che le fregavo sempre un cucchiaino. Lei mi guardava e mi faceva di no con il dito. Cercava di essere seria ma non ci riusciva. E allora io le prendevo il dito minacciandola che glielo avrei mangiato. Faceva finta di crederci e nascondeva l'intera mano dietro alla schiena. Io invece fingevo di credere che lei avesse paura di me. Era divertente. Tutto con Lara era piacevole e a volte anche spassoso. L'energia che lei riusciva a diffondere nella stanza mi serviva. Cercavo di assorbirla tutta perché mi era necessaria per affrontare la vita che avrei trovato fuori dalla sua camera. Era quando giravo la maniglia e aprivo la porta affacciandomi sul mondo esterno che arrivava il momento più difficile.

Lì arrancava la sopravvivenza e io dovevo fare lo slalom tra lei e la mia vita per evitare di inciampare, cadere e farmi male. Questo non me lo sarei mai perdonato, non tanto per me ma per Lara. Non potevo deluderla. Lei mi aveva insegnato che la vita non è il nostro punto dipartenza ma il nostro punto di arrivo. Questo fu il miracolo di Lara.

Lara ha cinquantasette anni e io non sono sua madre. Ho solo avuto la fortuna di essere una delle tante infermiere che hanno girato intorno al suo letto e nella sua stanza. Non le ho mai detto di non essere sua madre, lei aveva bisogno di crederlo. E francamente anch'io.