Il ricordo profuma di te


Spesso le emozioni sono nascoste nella parte più profonda di noi, possiamo però imparare ad ascoltarle attraveso alcuni strumenti e finalmente liberarle verso il loro naturale processo di elaborazione.
Le informazioni provenienti dal senso dell' olfatto vengono elaborate da due zone cerebrali : dal sistema limbico (ippocampo e amigdala) che controlla le emozioni, gli stati d'animo e gli istinti, e dal talamo, che assieme ad alcune areee della neocorteccia frontale, è coinvolto nell'interpretazione cognitiva dello stimolo olfattivo.
Il Profumo, come ci raccontala scrittrice Giuliana Balzano in questo emozionante racconto, può rappresentare uno di questi strumenti...perchè quel profumo mi provoca quella emozione? forse vuole dirmi qualcosa? come mi fa sentire quell'emozione?

Micaela Iaia
founder di Sanitariamente Coaching Sanitario®




Il ricordo profuma di te


Mi fermo.
Mi fermo nonostante la voglia e il bisogno così forte che ho di camminare a passo veloce.
I colori dell'autunno, che quest'anno è così caldo e singolare, sono balsamo per i miei occhi e per le mie orecchie che oggi hanno visto e ascoltato troppo.


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Mi fermo.
Mi fermo perché il profumo che sento è così intenso che quasi mi ubriaca e la testa, la mia povera testa, mi gira. Non so bene quando sia accaduto, quando, per la prima volta, abbia sentito quel profumo. Provo a concentrarmi. Provo a ricordare ma non mi riesce. So benissimo che è già successo. Eppure non ricordo.
Il profumo è gradevole, dolce e avvolgente anche se non saprei attribuirlo a nessun fiore o pianta. Lo so, lo so bene che ho già sentito quel profumo ma non mi ricordo quando e dove.
Accidenti a me. Sto proprio invecchiando. Incomincia a venire meno la mia memoria.
Inspiro più forte che posso. Sento quel profumo pervadere l'aria intorno a me. Rinuncio a ricordare la prima volta. Sono fiduciosa che ricorderò. Devo avere pazienza. Ricorderò. Quindi a passo svelto mi rimetto a camminare. Sono sola. Nessuno mi segue. Nessuno mi precede.
Sento un senso di nausea, un forte fastidio, una sorta di morsa che mi stringe lo stomaco.
Penso sia la digestione che probabilmente ho ancora in corso.


Mi fermo.
Mi fermo di nuovo e inspiro profondamente e quel profumo ancora mi inebria.
Riprovo aricordare ma niente da fare. Proseguo il mio cammino.
Un passo dopo l'altro, seguendo il battito del mio cuore, calpesto il sentiero che mi conduce nel bosco. Le gocce di sudore che nascono dalla mia fronte mi scorrono sul viso e poi scivolano sul collo trovando la fine della loro corsa sulla mia maglietta. Altre scelgono una strada più corta, tuffandosi nei miei occhi e tornando a galla, poco dopo, sotto forma di lacrime. Sento una fitta alla testa, un forte disagio, come se qualcosa mi stringesse le tempie.

Mi fermo.
Mi fermo di nuovo e di nuovo inspiro e ancora quel profumo si ripresenta. Spero sia la volta buona. Confido di ricordare ma invano. Non riesco più ad andare avanti. Prima la nausea ora l'emicrania. Due sintomi che mi rendono impossibile la marcia. Mi siedo ai piedi di un albero. Appoggio la testa al suo tronco e chiudo gli occhi.
Mi affiora un ricordo.
Avrei preferito non accadesse. Ci sono cose che non si vorrebbero ricordare. Sono come la nausea e l'emicrania: fanno male. Esattamente come due ospiti indesiderati e inattesi ti piombano in casa senza chiedere il permesso. Non puoi cacciarli via, aspetti che, dopo averti fatto a pezzi, lascino casa tua. Vorrei aprire gli occhi ma ogni volta che provo a farlo aumenta l'emicrania e di conseguenza la nausea e soprattutto aumentano i ricordi.

Maledetto.
Maledetto, ti risento mentre le urli di tacere, ti rivedo mentre le tieni forte le braccia, ti risento ancora mentre le urli che non vale nulla e ancora ti rivedo mentre le tiri quello schiaffo. Poi, il ricordo peggiore si fa nitido davanti a me. Ti vedo mentre a mezza voce le ordini di non dire niente minacciandola di farle altro male. A un certo punto ti sei voltato e mi hai vista. Ero sulla soglia della porta della camera. Probabilmente ti sei voltato perché hai avvertito lo stesso rumore che ho sentito io: quello della rabbia. Sì, la rabbia che ho provato vedendoti. La rabbia fa rumore, provoca boati assordanti. A volte acceca pure. E così mi sei venuto incontro. Mi hai sfidata. Pensavi che avrei abbassato lo sguardo e invece ti ho guardato dritto negli occhi.
Non ti dimenticherò mai, come tu non dimenticherai mai me. Quando ti sei trovato sulla soglia della porta, a un passo da me, hai capito che per te non sarebbe stato più come prima. Eri stato smascherato e ora la diagnosi era stata fatta. Lei non era matta. Lei era una vittima, come tante figlie al mondo lo sono dei loro padri. Se non fosse stato per quella flebo, che sapevo che a breve sarebbe finita, forse ti saresti salvato. Forse io non avrei mai visto quello che eri veramente: un maledetto. Confesso: ho provato un piacere perverso, quando ti ho chiuso la porta in faccia, lasciandoti fuori dalla sua camera. Fu la prima e unica volta che ostentai la mia divisa usando il potere da lei conferitomi, quello di potere mettere alla porta qualcuno. Ti sarai sentito morire dentro quando il sipario è calato. Io e tua figlia in platea. Tu sul palco ma senza più alcuna possibilità di recitare la parte del padre premuroso. Ora il copione l'avevamo in mano noi e il tuo ruolo a breve sarebbe cambiato. Ora tutto era chiaro. Peccato.
Peccato, perché non sempre quel che è chiaro è bello. A volte la chiarezza delle cose ti spinge nell'oscurità.
Finalmente eri fuori. Non solo dalla sua stanza ma anche dalla vita di tua figlia. La sua povera vita. La sua non vita. Diciotto anni mai vissuti se non come volevi tu. Tu il sole, tua figlia l'ombra ai tuoi piedi. Finché continuare a essere ombra le fu insopportabile. Preferì la morte. Per questo decise di saltare giù dal terrazzo ma quei tre piani non furono abbastanza per garantirle la pace eterna. Ho sempre creduto che la morte cercò di non vedere quel suo folle gesto considerandolo inaccettabile. E così una volta chiusa la porta che significava la fine della tua libertà e l'inizio della sua, non ho tolto solo una flebo ma anche due pesi:
quelli che comprimevano il cuore e l'animo di tua figlia. Ci sono voluti due anni prima che riuscisse a fare due passi da sola, non tanto per i traumi che riportò in seguito a quel volo, ma per quelli che le avevi provocato tu. Non esistono chiodi, gessi, placche e fissatori esterni per ricomporre i traumi psicologici.

Maledetto.
Maledetto per tutto. Non sai quante volte ti abbia maledetto, anche ora che so che stai scontando la tua pena. Ancora il tuo ricordo mi fa male.
Apro gli occhi, forse la testa inizia a dolermi di meno e anche la nausea si è attenuata. Mi alzo.
Sì, sto decisamente meglio. Riprendo a camminare e inspiro profondamente e quel profumo si fa risentire.
Ho come l'impressione che più vado avanti e più il profumo sia forte. Passo dopo passo lo sento più intenso. Mi convinco che a breve ricorderò.
A un tratto però il profumo scompare. Decido di tornare indietro, devo assolutamente risentirlo. Devo ricordare. Niente, di lui più niente. Ritorno sui miei passi e mi rimetto sulla strada del rientro, quella che mi riporterà a casa. Pensavo che la nausea e l'emicrania mi avessero abbandonata e invece eccole ricomparire.

Mi fermo.
Mi fermo e mi siedo su una panchina. Una vertigine mi spinge in avanti ma mantengo la calma aspettando che passi. Mi affiora di nuovo quel brutto ricordo. Dovevo immaginarlo.
La nausea e l'emicrania sono sempre dei brutti segni premonitori. Chiudo di nuovo gli occhi. Ti risento ridere. Ridevi mente cercavi di difenderti dalle accuse di tua figlia. Mi urlavi che ero una pazza, che ero stata io a convincerla a dire quelle cose. Avresti dovuto fare teatro. Eri un ottimo attore. La vita però non premia gli attori. La vita, semmai, premia gli uomini. Tu eri e sei solo un maledetto. Cerco di scacciare il ricordo. Basta, mi alzo. Devo tornare a casa, devo lasciare qui questo brutto ricordo. Nonostante la nausea e l'emicrania inizio a correre. Una vertigine mi costringe a fermarmi.

Mi fermo.
Mi fermo e la nausea e l'emicrania scompaiono. Ti rivedo. Ti rivedo mentre mi sorridi. Ti rivedo ormai donna, con la tua tesina in mano. Alzi il tuo braccio destro e urli vittoria. Era il giorno del tuo esame di maturità. Ti rivedo mentre zoppicando mi vieni incontro. Mi rivedo mentre ti stringo forte. Ci siamo sedute al tavolino del bar che sta di fronte alla scuola. Parlavi così veloce che non compresi nulla ma feci finta di aver capito tutto. Non mi ricordo bene a quante facoltà avresti voluto iscriverti. Tutto quello che vedevi davanti a te, tutto quello che avresti voluto raggiungere, erano mete poste in una strada che tu vedevi in discesa. E invece tu camminavi solo in salita ma senza accorgertene perché non sentivi la benché minima fatica. Questo ti rendeva grande e speciale.
Mi rimetto in cammino, finalmente riesco a procedere. Sto bene. Sto così bene che provo a correre. I colori di quest'autunno meraviglioso mi scaldano il cuore che forse per questo non aumenta i suoi battiti.

Mi fermo.
Mi fermo e mi porto la mano sul petto. Sento una sorta di fremito. Inspiro profondamente. Il fremito continua. Forse è un'extrasistole. Inspiro ancora e questa volta più forte. Si rifà vivo quel profumo. Cerco di concentrarmi. Devo assolutamente ricordare dove l'ho già sentito. Riprendo a camminare. Un altro ricordo mi prende per mano. Era il giorno della tua laurea. Non ero presente ma con tutte quelle foto che mi facesti vedere era come se fossi stata lì con te. Il vestito che indossavi era orribile. Scoppiasti a ridere quando ti dissi che sembravi un dalmata. Mi abbracciasti forte. C'erano due bicchieri di spumante sul tavolino di quel bar dove andammo a brindare qualche giorno dopo. Riuscisti a rovesciarli tutti e due. Eri così felice.
Ti rivedo ancora. Sì, non hai mai avuto gusto nel vestire. Era orribile anche il tuo vestito da sposa. Sembravi una foca. Una brutta foca. Eri così contenta quando ti prendevo in giro.
Ridevi fino alle lacrime. Dicevi che dimostravo di volerti bene. Avevi ragione ma ciò che ti sfuggiva era che ti volevo vedere ridere fino a superare le volte che ti avevo vista piangere.
Quel profumo è ancora lì. Decido di non sforzarmi più a ricordare. Continuo a camminare, oramai sono quasi arrivata. Ho lasciato la quiete del bosco e della campagna alle mie spalle.
Entro in casa. Mi chiedo come sia possibile che il profumo mi abbia seguita fin qui.

Mi fermo.
Mi fermo in mezzo al corridoio e mi guardo intorno. Squilla il telefono. Sei tu. Ti ascolto. Non ti do questa soddisfazione. Non piango. Tu lo sai che lo farò dopo. E io aggiungerò questo ricordo agli altri ricordi. Finché sarò in grado di ricordare, io, ricorderò.
Ricorderò di una ragazza, che ora è una donna, che ce l'ha fatta. Salirà in cattedra insegnando ai suoi studenti che il male che si riceve ha senso solo se lo si trasforma in forza. La forza di continuare a volersi bene.
Ora ricordo dove ho sentito quel profumo: era quello della tua pelle.
Ci sono ricordi che fanno solo male, al contrario ci sono ricordi che fanno bene.
Quest'ultimi sono quelli che profumano.

Giuliana Balzano, scrittrice e infermiera
riferimenti/contatti : https://www.facebook.com/collanaeditorialestoriedivitaleucotea